E’ di pochi giorni fa la notizia che Thom Yorke e Nigel Godrich (membro della band Atoms For Peace e produttore dei Radiohead), hanno rimosso la loro musica da Spotify: non sono più disponibili, infatti, né il disco solista di Yorke The Eraser, nè il suo ultimo lavoro con la band Atoms For Peace; l’annuncio è stato dato via Twitter, sostenendo che il servizio di musica in streaming è "un male per la nuova musica". La risposta di Spotify non si è fatta attendere.

Un portavoce di Spotify ha dichiarato alla rivista NME che l’obiettivo a lungo termine della società è quello di assicurarsi che gli artisti vengano adeguatamente remunerati: "L'obiettivo di Spotify è di far crescere un servizio che la gente ama, che è disposta a pagare e che fornirà il supporto finanziario per l'industria musicale, fornendo le risorse per investire in nuovi talenti e nuova musica. Vogliamo aiutare gli artisti a connettersi con i loro fan, trovare un nuovo pubblico e far crescere la loro base di fan.” Il portavoce ha aggiunto: "In questo momento siamo ancora nelle fasi iniziali di un progetto a lungo termine che sta già avendo un effetto estremamente positivo su artisti e nuova musica; abbiamo già pagato $ 500 milioni ai titolari dei diritti finora e per la fine del 2013, tale numero raggiungerà il miliardo di dollari. Gran parte di questo denaro viene investito in nuovi talenti e produrre grande musica nuova”. 

Ma come funziona effettivamente il pagamento dei diritti su Spotify?
Spotify, tramite accordi prestabiliti versa a case discografiche, distributori digitali e editori, i diritti d’autore per far sì che a loro volta, tali soggetti possano pagare gli artisti in base agli specifici accordi contrattuali; sul sito ufficiale di Spotify, si legge: “Spotify paga la maggior parte (circa il 70%) di TUTTI i nostri profitti (pubblicità e costi di abbonamento) ai detentori di diritti: artisti, etichette, editori e società di protezione dei diritti di esecuzione (ad es., ASCAP, BMI e così via). spotify-logoIn soli tre anni dal lancio, Spotify ha pagato oltre 250 milioni di dollari in diritti d'autore”.
Gli accordi tra etichette discografiche e artisti sono ovviamente vincolati dalla riservatezza, in generale, però, Spotify rende noto il modello di calcolo per determinare l’ammontare dei diritti d’autore. La cifra è presto calcolata: l’importo varia in base alla popolarità dell’artista, se la musica di un artista rappresenta il 2% degli stream degli utenti Spotify, egli riceverà il 2% lordo; è questo l’aspetto al quale si riferiscono Tom Yorke e Nigel Godrich. Godrich porta l’esempio dei Pink Floyd per chiarire meglio la sua posizone: “per le nuove band è davvero difficile generare entrate sostanziali su Spotify, se la gente avesse ascoltato Spotify invece di comprare i dischi nel 1973, dubito molto che The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, sarebbe stato fatto, sarebbe troppo costoso." Il dibattito è aperto e il mondo della musica è in subbuglio, anche dopo la notizia che Pandora (un altro servizio simile a Spotify), ha fatto richiesta al Congresso degli Stati Uniti, di cambiare la legge in modo da versare quote più basse di diritti d’autore. In questo caso si sono mossi proprio i Pink Floyd; in un editoriale Roger Waters, David Gilmour and Nick Mason si schierano apertamente contro questa richiesta e contro la politica di gestione delle royalties. Qui trovate l'editoriale in verisone integrale.